Ma che fine ha fatto don Luca? È un po che non se ne hanno notizie certe... c'è addirittura chi dice che sia stato spedito in pellegrinaggio in Russia!
Ebbene sì cari amici, il "nostro" don Luca è diventato un uomo d'azione e sua eminenza il cardinal Tettamanzi l'ha voluto con sé nel pellegrinaggio che la Diocesi di Ambrogio ha organizzato nell'ultima settimana dell'agosto 2008. Quello che vi proponiamo è il racconto dell'esperienza vissuta da Don Luca. Fate come abbiamo fatto noi: |
“Alle sorgenti della spiritualità della chiesa russa“: questo il “titolo” del pellegrinaggio del card. Tettamanzi a Mosca, lo scorso agosto. Ero fra gli ottanta preti a seguito dell’Arcivescovo in questo significativo viaggio. Considerando la discreta risonanza che l’evento ha avuto sui media, non mi cimento in un reportage, limitandomi a due annotazioni a margine, su ecumenismo e preghiera.
Ecumenismo
Le strade del dialogo ecumenico, pur convergenti, sono diverse fra loro: esso avviene a livello di confronto teologico e sulla prassi ecclesiale, di reciproca conoscenza delle spiritualità, di collaborazione nelle opere di carità ed altro ancora. Ma la carta vincente, per così dire, pare essere quella delle relazioni di prossimità e conoscenza, al punto che in Russia non utilizzano il termine “ecumenismo”, preferendo parlare di cammino di amicizia. In effetti, non è concepibile una comune ricerca della Verità ancorata sulla sola discussione dei dogmi, svolta magari a tavolino, né si riesce a immaginare una forte e convinta tensione all’unità di fede senza cordiali rapporti di fraternità. Ce lo attesta l’esperienza quotidiana: ci si riesce ad accordare solo se ci si stima, se ci si viene incontro con paziente disponibilità, facendo sentire (non solo capire) all’altro che gli si vuole bene. I cattolici camminano in questa direzione da anni, con convinzione e solerzia, come lo stesso arcivescovo Juvenalij (il “numero due” di Alessio II, patriarca di Mosca, impossibilitato ad essere presente per motivi di salute) ha riconosciuto, e per cui ha ringraziato. Lo possiamo fare valere quale monito per la nostra comunità pastorale, che ha come fondamento l’amore del Crocifisso e come strumento attuativo (da queste pagine è proprio il caso di dirlo) la Concordia, ossia il comune sentire che si esprime nel calore di relazioni gioiose, positive, simpatiche nel senso pieno.
Preghiera
Noi latini abbiamo formulari diversi per tutte le Messe, invece la Divina Liturgia è sempre uguale a se stessa, con inserzioni o decurtazioni che fanno variare i tempi di esecuzione dall’una alle tre ore. In piedi e senza capire granché, perché per lo più non si utilizzata la lingua corrente. Ma le persone - lo attesto con stupore e non me ne capacito appieno - sono at-tente. Nel senso che “tendono-a” quanto si celebra e, più ancora, tendono a dove la celebrazione li desidera proiettare: il cielo.
Gli ortodossi vivono una sorta di immersione nella liturgia che, nel suo essere non pienamente intelligibile ed anzi volutamente rivestita di un’aura di sacralità (che la allontana sensibilmente dal vissuto quotidiano), esprime un anticipo di Paradiso. L’iconostasi, cioè il monumentale muro composto da diversi (fino a cinque) registi di icone, esprime bene l’idea della soglia: mentre separa la terra dal cielo (l’aula dell’assemblea liturgica dalla zona dell’altare, riservata ai sacerdoti) ne offre l’accesso, attraverso l’apertura della centrale “porta del Re”. Così si attua la comunicazione della Chiesa pellegrina con quella trionfante, che anche noi, meno plasticamente, esprimiamo al momento del Sanctus: “In alto i nostri cuori, rivolti al Signore”, così che sia una sola Chiesa, celeste e terrestre, a glorificare Dio.
Semplificando fino all’eccesso: noi occidentali puntiamo sulla forza rivelativa della parola, che ci fa penetrare nella comprensione del Mistero da comprendere. Gli orientali nel Mistero si immergono, perché esso li raggiunge attraverso l’esperienza sensibile, con le immagini (abbiamo ammirato diverse centinaia di icone e affreschi), i suoni (si canta tantissimo), la postura, i gusti e i profumi. È una preghiera “atmosferica”, molto giocata sul clima. Noi parliamo più immediatamente all’intelligenza: le nostre orazioni sono dei ceselli di teologia trasposta in preghiera (e se ti sei perso l’inizio, non capisci più niente fino all’Amen…). Ritengo che sarebbe arricchente assimilare qualcosa di questa recettività (quasi passività) di fronte alla trascendenza del Mistero, anche se, confesso, la distanza siderale tra quello che si prega e quello che si vive mi lascia un po’ smarrito.
Pochi cenni conclusivi a proposito di riflessioni che sarebbe fruttuoso approfondire: ad esempio sul valore capitale del monachesimo, vera anima dell’intero popolo russo, non solo della Chiesa ortodossa. F. Dostoevskij scrisse, a proposito, nel celeberrimo I Fratelli Karamazov: “La salvezza della Russia verrà dal popolo. E il monaco russo è col popolo da sempre”. Oppure sul peculiare modo di intendere il martirio: noi definiamo martire colui che dà esplicita testimonianza (martyria) di fede, fino all’estremo della effusione del sangue; per gli ortodossi lo strastoterpec (“colui che ha sofferto la passione”) è chi, per motivazioni anche non direttamente riconducibili alla fede, risulta assimilato alla morte cruenta di Cristo. Ancora: circa la provocazione che raccogliamo dalla teologia “apofatica”, che si pone in atteggiamento silente e contemplativo di fronte all’Indicibile; meno incentrata sulla speculazione, affronta comunque con concretezza questioni di tipo pastorale. Sul valore delle icone, le quali sono molto più che opere d’arte: esito del cammino ascetico e della profonda esperienza spirituale dell’autore che le “scrive”, mostrano a chi le contempla ciò che ogni uomo è chiamato a diventare. Se questi argomenti suscitano interesse, sul sito della diocesi, nella sezione riguardante la formazione permanente del clero , è possibile recuperare un’antologia di testi sulla spiritualità russa ed anche le riflessioni proposte lungo il viaggio da Padre A. Piovano, priore del monastero di Dumenza".