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Ottobre missionario: in ricordo di Annalena Tonelli

Albavilla, 15 ottobre 2013

“Io impazzisco per i brandelli di umanità ferita, più son feriti, più maltrattati, più di nessun conto agli occhi del mondo, più io li amo. Questo non è un merito, è un'esigenza della mia natura”.

Annalena Tonelli

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Nel decennale della sua morte, avvenuta domenica 5 ottobre 2003 a Borama, nel nord ovest della Somalia, dove dirigeva un ospedale che lei stessa aveva fondato circa sei anni fa per curare gli ammalati di tubercolosi, l'unità pastorale propone un incontro sulla sua figura con la giornalista Anna Pozzi.

MARTEDÌ 15 OTTOBRE, ore 21:00
Sala della Comunità di Albavilla

 

Annalena: un silenzio che parla

«Per quanto riguarda l’"articolo-testimonianza" su di me, penso che sia meglio rimandare a dopo la mia morte, se avrà ancora un senso... Forse presto. Potrei morire in questo stesso momento!».

Così scriveva un anno fa Annalena Tonelli, alla vigilia di un "Reportage" che "Mondo e Missione" dedicava a lei e alla Somalia. Parole come un pugnale, che il giorno del suo assassinio, il 5 ottobre scorso (2003), ci hanno trafitto e illuminato. Lei sapeva che la morte poteva coglierla in qualsiasi momento. Lo sapeva, ma non ne aveva paura. Ne parlava con naturalezza, come solo gli Africani sanno fare. O come chi custodisce nell’animo una fede grande e si affida completamente a un "Altro". Era consapevole e pronta. Forse, in cuor suo, sperava di accedere alla vita vera dalla porta dell’Africa, a cui aveva dedicato gran parte della sua esistenza, tra i "suoi" Somali, che aveva amato di un amore profondo, gratuito e testardo. Per più di 33 anni.

Pochissimo si sapeva di lei. Molti ne hanno sentito parlare solo dopo la sua morte. Qualcuno se n’è accorto lo scorso Maggio (2003), quando l’attribuzione del Premio dell’"Alto Commissariato Onu per i Rifugiati" aveva acceso i riflettori su di lei. Fino ad allora il suo era stato un servizio vissuto nel nascondimento, al riparo dalla pubblicità. Per questo evitava accuratamente i Giornalisti. Men che meno si lasciava fotografare. Ti permetteva, però, di condividere la sua vita, al Centro Tubercolare di Borama, così come nella sua modesta abitazione, regalando pennellate della sua esistenza che strettamente si era legata alle vicende più tragiche della storia della Somalia: la guerra, i drammi, gli incontri e le speranze... ma soprattutto le persone!

Non era facile scrivere di lei. Era una donna che sfuggiva a tutti gli schemi. Intelligente, energica, indipendente, grandissima lavoratrice e organizzatrice, una dedizione straordinaria ai suoi ammalati e una profonda spiritualità. Annalena aveva trovato nell’amore per gli ultimi il senso di una vita degna di essere vissuta. Una vita di sacrificio, ad occhi estranei, ma – come lei amava ripetere – "la migliore delle vite possibili!".

Anche oggi che Annalena se n’è andata, il rischio è di banalizzare la sua figura ricca e complessa, capace di rendere una testimonianza Cristiana "alta" in una terra difficile come la Somalia, segnata dalla guerra, dall’odio e dall’intolleranza.

Eppure, proprio qui, Annalena aveva trovato il senso profondo della sua vocazione, nonché la possibilità di un dialogo e di un incontro. Non si stancava di ricordare il dono prezioso che le avevano fatto i suoi Nomadi del Deserto. "Loro, Musulmani – scriveva – mi hanno insegnato la fede, l’abbandono incondizionato a Dio. Mi hanno insegnato a fare tutto, incominciare tutto, operare tutto nel nome di Dio!".

Oggi Annalena riposa a Wajir, nel Deserto del Kenya; è qui che, nel ’69, aveva iniziato a realizzare la sua aspirazione di "gridare il Vangelo con la vita", restando fedele ai due assoluti della sua esistenza: Dio e gli ultimi.

Qui è cominciata e si è conclusa la sua avventura umana in Terra d’Africa, vicino a quell’Eremo dove nel silenzio ritrovava la forza di combattere la battaglia di ogni giorno. Quel silenzio continuerà a parlare a tutti coloro che hanno avuto il privilegio di incontrarla e che sapranno dare nuovo slancio alla sua "invincibile passione per il Vangelo e per l’uomo ferito"!

Articolo di Anna Pozzi
pubblicato sulla rivista Mondo e Missione nel novembre 2003

 

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