Torino, 2/5 gennaio 2009
E’ domenica all’Arsenale: sveglia, colazione, lodi, “Buona Giornata” in Auditorium, incontro formativo, pranzo, lavoro, messa, vespri, cena... Niente di strano rispetto agli altri giorni della settimana, tanto che ci ritroviamo a chiedere che giorno sia e non siamo sicuri della risposta.
Anche fuori dalle mura dell’Arsenale è domenica: tra urla, odori, colori è passato il mercato di Porta Palazzo, il più grande d’Europa ed ora non resta altro che qualche anziano che rovista tra i rifiuti, un gruppo di uomini un po’ assonnati riuniti intorno ad un cartone di vino e i soliti spacciatori che hanno ripreso il loro commercio. Nessuna traccia dei curiosi che arrivano il sabato alla ricerca di qualche oggetto strano, nessun traffico di carretti, nessuna musica, nessun dispiegamento di forze dell’ordine.
Per noi che stiamo dentro e che ogni tanto, nei rari momenti liberi, sbirciamo dal pesante portone di vetro che ci separa dall’esterno, quel che succede là fuori resta poco più che un film muto, finché veniamo risvegliati dal trambusto di una, due, dieci, venti.. trenta voci squillanti. Sono arrivati i bambini di Porta Palazzo e per alcuni di noi comincia ora il lavoro: giocare. Facile, no? I monaci del SERMIG ci hanno spiegato che poco più di un anno fa qualche mamma del quartiere ha bussato alla porta dell’Arsenale per chiedere un posto che fosse meno pericoloso delle strade di Porta Palazzo, dove i propri figli potessero giocare. Ci hanno detto che è difficile farli giocare tutti insieme, che sono molto vivaci... Bambini egiziani e marocchini si odiano? Ma non sarà mica un problema per noi, giovani, svegli, attenti ai problemi del mondo, sensibili, aperti verso il diverso bla bla... sarà una passaggiata!
Eh no.
Non è andata proprio così. Forse non avevamo previsto di avere a che fare con dei bambini molto meno ingenui di noi, dei bambini per cui le nostre “buone regole” non valgono. Bambini per i quali l’unica legge che vale è quella del più forte, che non hanno nessuna voglia di stare fermi, che hanno bisogno di sfogarsi, bambini arrabbiati, irrequieti, bambini molto esigenti, molto seri. Sara (nome di fantasia) ha 11 anni, una grossa bruciatura sul collo e gli occhi svegli e un po’ maliziosi di chi ha già conosciuto la realtà molto prima di tante sue coetanee. E’ l’unica italiana del gruppo e ha il piglio del capo; le altre, quasi tutte più piccole, la rispettano: è lei a decidere in modo arbitrario a chi concedere favori o infliggere punizioni. Passano vari giochi, passa anche Un, due, tre.. stella! e poi trascina anche me insieme alle altre dove vuole lei: “Ragazze, è arrivato il momento di truccarsi!”. “No.. ma io... cioé di solito non mi trucco.. no.. cosa? Sì, grigio è meglio di nero.. no, ma.. le bambine non si truccano.. io.. no dai...”. Niente. Senza quasi accorgermene mi ritrovo le labbra rosse, gli occhi grigio scuri e le unghie coperte di brillantini. Ok, ci rinuncio. Hanno vinto.
Mi guardo allo specchio un po’ sconsolata e penso ad alta voce, distratta: “Ma chi sono truccata così? Sono dentro una storia..”. Non credevo nemmeno che mi avessero sentita e invece sembrava che non stessero aspettando altro. “Sei una principessa e noi siamo le tue sorelle” “Sei Sissi” “No sei la Bella Addormentata nel Bosco!” “No no Sissi, ti sei truccata per il principe!”.. Ehi cosa sta succedendo??? Ma stiamo.. SOGNANDO? Nel giro di pochi minuti il copione è pronto, i ruoli sono definiti e la musica aspetta di partire: signore e signori, benvenuti a Palazzo, si aprono le danze!
In coppia, da sole, tutte insieme in cerchio giriamo veloci, saltiamo, cantiamo e non facciamo troppo caso alla porta che ogni tanto si apre. Quando arriva qualcuno di nuovo lo prendiamo sotto braccio e continuiamo a girare.
Sono esausta quando i bambini varcano di nuovo la soglia dell’Arsenale per tornare alle loro case. Ho ancora un po’ di trucco che mi cola dagli occhi e lo smalto sulle unghie. Meglio così, magari non si vede la faccia sbigottita di una giovane ingenua che credeva di avere qualcosa da insegnare ai bambini e invece ha imparato da chi vive immerso nella realtà a ricordarsi di sognare.