Valore e missione dell’oratorio oggi
7 novembre 1913: è una data che non sembra dirci nulla ma in realtà è il giorno in cui Andrea Carlo Ferrari firmava il primo statuto della FOM. Cento anni dopo, giorno più, giorno meno anche noi ci ritroviamo attorno all’Arcivescovo di Milano, Angelo Scola per vivere un ‘avventura bellissima: l’Assemblea degli oratori 2013.
Siamo in tanti, da tutte le zone della diocesi: certo, saremmo potuti essere di più ma ognuno di noi è motivato e felice di aver sconfitto la pigrizia del sabato mattina per partecipare ad uno dei tanti eventi proposti dalla “nostra” FOM, la fondazione degli oratori Milanesi. Appena entro nell’incantevole cornice del seminario di Seveso mi rendo conto di quanto siamo fortunati ad essere parte della Diocesi di Milano, così attiva, attenta e propositiva sotto ogni punto di vista: siamo sul confine della diocesi ma rientriamo nel cuore pulsante di questa macchina grandiosa!
È don Samuele Marelli, responsabile della Fom, ad aprire l’assemblea e subito cattura l’attenzione degli spettatori facendo riferimento a quelli che definisce “punti luminosi”: sono cinque e ognuno coglie un aspetto dell’oratorio che forse, nella quotidianità, ci appare scontato. Queste luci sono la storia e la geografia degli oratori milanesi che sono 1/6 di quelli italiani, la creatività e la vivacità, le persone che sono espressione di una gratuità sincera e quotidiana e infine la Fom stessa, uno strumento a servizio di tutti gli oratori.
Hanno fatto seguito alcune testimonianze, altrettanto luminose, anche se caratterizzate dalle fatiche e dalle sfide quotidiane che ognuno di noi conosce. Parla per primo Don Simone Chiarion di Nerviano, è giovane ed entusiasta e subito mi colpisce con una frase: «è bello ed è un onore essere dove l’uomo cresce e può diventare adulto». A queste parole ognuno di noi, quelli che bazzicano per un motivo o per l’altro l’ oratorio, dovrebbe sentirsi investito di una grande responsabilità che a volte tra gli affanni quotidiani, facciamo scorrere in secondo piano: io stessa, un’educatrice, contribuisco, nel mio piccolo, a fare crescere i ragazzi, a trasmettere loro quello che è il Gesù di sempre, con i linguaggi di oggi.
Proprio perché è bello ed è un onore, l’oratorio deve essere come una seconda casa per i ragazzi nonostante le classiche lamentele dei genitori che si possono riassumere nella frase sentita tante volte: «ti manca solo la brandina in oratorio e poi ci passeresti anche la notte!» Questo è assolutamente vero e ne dobbiamo essere fieri ed orgogliosi: l’oratorio è la casa e dobbiamo viverla, al 100% amando tutti coloro che ci troviamo di fronte.
Ed è proprio l’amore, il punto attorno a cui tutto deve ruotare: sono le parole di un’educatrice come me, a sostenerlo che vive e comprende le nostre stesse difficoltà, le fatiche ma conosce anche le incomparabili soddisfazioni. Siamo educatori: la nostra missione è quella di seminare, anche se saranno altri a raccoglierne i frutti. Uno dei semi gettati che è diventato frutto, è un adolescente di 16 anni che testimonia di fronte ad una platea di sconosciuti: è un ragazzo coraggioso, ovviamente intimorito ma pieno di energia. Si interroga e non sa quale sia la strada da percorrere, la scelta da compiere: devo convincere gli amici che l’oratorio è bello o osservare da lontano? È una fase passeggera o uno stile fermo e duraturo della mia vita?
L’oratorio, come suggerisce l’Arcivescovo è il luogo dove si concentra la piena rinascita della vita di donne e uomini, nella libertà. Ciò che rende possibile questa rinascita è un criterio unificante, unico ed essenziale: Gesù.
Il coinvolgimento con Gesù deve essere stabile, non occasionale e sfuggevole ed è la risposta ad un bisogno che tutti noi proviamo cioè quello di essere “definitivamente amati, per amare definitivamente”. Dobbiamo aprire, anzi spalancare le porte dell’oratorio per amare senza vie di mezzo, senza chiedere nulla in cambio e soprattutto come se ogni istante fosse l’ultimo. E’ un compito difficile di cui non solo noi educatori dobbiamo farci carico ma l’intera comunità educante: dalla scuola, allo sport, fino ad arrivare a coloro che hanno il ruolo più importante, i genitori.
In quel sabato mattina a Seveso, io e tante altre persone, ci siamo messe in ascolto e abbiamo dialogato con il nostro Arcivescovo partendo dalle domande concrete di chi l’oratorio lo fa e soprattutto lo vive. Ognuno di noi indipendentemente dal ruolo che ricopre, genitore, educatore, catechista o volontario, deve avere chiaro che l’oratorio è il luogo di tutto il popolo di Dio, non solo dei più piccoli.
Gli oratori infatti ci sono stati e ci saranno ancora, nella consapevolezza che ciò che ci rende uniti è un’adesione, totale ed incondizionata al Vangelo.
N.M.