Ricordate don Francesco Airoldi in Zambia? Ci scrive una lettera per Natale, molto intima e piena di speranza!
Lusaka, dicembre 2013
Carissimi amici,
vi scrivo ancora da Lusaka… Potrà sembrarvi strana quest’ultima affermazione ma oggi vorrei rendervi partecipi di alcuni pensieri e di alcuni desideri che mi si muovono dentro. Tutti abbiamo dei progetti e dei sogni e tra i miei, sin dall’inizio della mia esperienza in Zambia, c’era quello di concludere la mia presenza a Kanyama dopo sei anni di “contratto” o, meglio, di servizio. Arrrivai in questa porzione di terra d’Africa all’inizio di Dicembre del 2007. Ed chiaro che a questo punto sei anni sono passati. Ma qualcosa non ha funzionato! Chi mi doveva sostituire non è mai arrivato e sembra che non sia neppure in arrivo e allora ho dovuta accettare di rimanere a St Maurice per altri tre anni. Da una parte sono contento, ma dall’altra mi fa paura perché questo potrà rendere più difficile un domani il lasciare questo luogo che sento mio, parte della mia storia e profondamente legato alla mia vita.
Se penso agli inizi non riesco neppure ad immaginare come io sia potuto arrivar fin qui. Ciò che è accaduto dal 2007 ad oggi è meraviglioso; ciò che si è materializzato in questi anni è qualcosa di straordinario; e ciò che c’è ancora oggi in progetto è più che entusiasmante. Tutto è passato velocemente. Tutto è stato così breve. Eppure da poco più del nulla ora mi ritrovo a vivere in una comunità che è cresciuta tantissimo, che si è aperta ai bisogni della gente specialmente dei bambini, dei ragazzi e dei giovani e che ancora oggi si preoccupa di dare speranza a chi, vivendo a Kanyama, sperimenta continuamente la durezza quotidiana di una vita immersa nelle cose brutte.
St Maurice sta diventando a poco a poco un luogo bello. St Maurice è un luogo dove c’è tanta gente sempre e dove, per questa ragione, diventa più difficile trovare una dimensione umana della vita. Il nostro slum, una volta piccolo, ha raggiunto ora almeno 300.000 abitanti. Mi muovo spesso tra le loro case. Conosco tantissima gente ma è ancora di più la gente che conosce me e mi chiama per nome. Mi perdo spesso nel groviglio delle vie confuse perché, ad un ritmo che per ora non conosce tregua, le case crescono cambiando la fisionomia del quartiere. Nonostante la mia espeienza faccio ancora fatica ad andare dove la gente abita. Lo slum non è un posto per noi. Il modo in cui vieni guardato, la maniera in cui ti chiamano e ti deridono, le provocazioni che ti lanciano anche se tu cerchi di sorridere e salutare, ti trascinano in un disagio profondo. Faccio fatica, ma non è questo che mi preoccupa o che mi spinge nel desiderare di andare.
C’è qualcosa in più che oggi vorrei condividere con voi. Innanzitutto c’è un limite che non ho mai superato in passato. Quello dei sei anni! Non sono mai stato in luogo per più di sei anni. Via Mar Nero a Baggio era stato il mio record. Ora l’ho superato anche se questa nuova fase della vita è difficile da affrontare. Pensavo che l’inquietudine degli anni giovanili ad una certa età si sarebbe affievolita. Ma capisco che non è così. Ho dentro un grande desiderio di andare, di conoscere ancora la gente e il mondo in cui questa stessa gente vive. Non amo abituarmi ad una vita regolare e conosciuta. Quella che ti fa stare tranquillo. Forse sono ancora quasi giovane, ma capisco che a 45 anni sono più in là del mezzo del cammino della mia vita. Ed ho paura che poi non ci sarà più tempo se rimarrò qui ancora qualche anno. Poi, e arrivo ora ad un altro punto determinante, capisco che questo luogo, questa missione di St Maurice a Kanyama, periferia ovest di Lusaka, capitale dello Zambia, l’ho fatta io, è cresciuta nel bene e nel male a mia immagine e somiglianza. In questo luogo, più che in ogni altro luogo, ho messo la mia anima e la mia vita e la separazione che in futuro certamente avverrà sarà dolorosissima e direttamente proporzionale al tempo della mia permanenza.
Capite allora che in questo mese di Dicembre ho aperto una nuova fase della vita e sto ancora cercando di capire come è meglio affrontarla. Mi consola però molto guardare i volti delle persone che incontro e percorrere a ritroso la storia che ci accomuna. Mi piace tantissimo incontrare i bambini delle scuole che mi salutano tutti con grandi sorrisi e chiamandomi per nome. Mi riempie di felicità incrociare il sorriso di Joseph, un ragazzo di 15 anni che ho semplicemente mandato e lascito in ospedale dopo averlo trovato nella sua casa con un piede in putrefazione ricoperto da mosche per via di un’infezione. Oggi può ancora andare in bicicletta e giocare a pallone. Mi consola essere cercato, quasi come un papà, da ragazzi e ragazze senza più i genitori, che sanno di poter contare su di me per poter andare a scuola e avanzare nei loro studi. E ancora, mi dà sollievo vedere che nei campi di calcio, pallavolo e basket centinaia di ragazzi vengono qui ogni giorno a passare il tempo e divertirsi. Mi salutano in tanti, con grande rispetto, perché riconoscono di avere tra le mani una possibilità che altrove a Kanyama non esiste. E’ sempre molto bello fare l’esperienza di essere cercato da chi vuole fermarsi e parlare con te, da chi vuole un tuo parere ed è disposto a raccontarti la sua vita. E’ meraviglioso vedere che qui c’è vita, c’è tanta gente giovane che è parte della comunità, che rienpie la chiesa e gli incontri, che è contenta di esserci e di far parte di questa grande famiglia che è St Maurice. I volti sono la storia di questo luogo che non potrebbe esistere senza di loro. La gente è la mia consolazione ed anche la mia fatica.
È qui che ancora quest’anno, per il settimo anno, cercherò di trovare il Natale. Nella semplicità di un mondo dove, come già vi ho detto, nulla rimanda al Natale se non ti sforzi di leggere tra le righe di un’esperienza esistenziale che ti parla di vita e speranza. Ma forse, credo, è proprio questo il Natale.
Ora concludo ringraziando ciascuno di voi. Tutto quello che qui è accaduto lo devo anche a voi. Grazie di cuore! Spero poi che a nessuno sia venuto in mente che io abbia il desiderio di tornare in Italia. Non è questo il punto. Sogno ancora l’Africa… magari in un luogo dove si possa imparare a vivere con i musulmani.
Ora un caro saluto e buon Natale
don Francesco Airoldi